Aggiornato il Ottobre 29, 2009 da clickcinema.it
Il regista, cresciuto sotto l’ala protettrice di maestri come Chang Cheh, attinge a piene mani dal retaggio del wuxiapian cinese e la fratellanza d’armi dei suoi eroi per descrivere i legami dei tre protagonisti di "Bullet in the head", un fiume in piena di passione e pulsioni differenti incarnate da un cast di attori in stato di grazia: Tony Leung ("Hardboiled", "In the mood for love") è Ben il più equilibrato e generoso del trio, Jacky Cheung ("Once upon a time in China") interpreta il disadattato e sfortunato Frank mentre l’ambizioso e violento Paul ha il volto di Waise Lee ("A better tomorrow"). John Woo inoltre con il personaggio di Luke, interpretato da Simon Yam( "Exiled"), si supera in un’auto-citazione ravvicinata del killer interpretato l’anno prima da Chow Yun Fat in "The Killer", un eroe a tutto tondo misterioso e affascinante che prende a cuore, con l’aiuto di Ben, Paul e Frank, le sorti di una giovane cantante sfruttata da un boss senza scupoli di Saigon. Luke viene definito di origini europee, tiene in casa una foto di Cathrine Deneuve, un ulteriore omaggio dichiarato di Woo verso il cinema (noir) francese in un’idealizzazione romantica dolente tipica del regista. Semplicemente strepitose alcune sequenze in cui l’elegante killer, che ama usare candelotti di dinamite camuffati da sigari Havana, compare lungo la pellicola: l’esecuzione di un uomo nei bagni di un locale notturno, sotto lo sguardo di un esterefatto Ben, con in sottofondo "I’m Beliver" dei Monkees cantata da una cover band nella stanza accanto (un incredibile momento di cinema puro), il lancio perfetto di un coltello sulla giugulare di un avversario che sprigiona un triplice spruzzo di sangue impressionante.
Sullo sfondo di "Bullet in the head" infuriano con impeto la guerra del Vietnam e la protesta studentesca anti-imperialista, anche in questo caso il regista inserisce intuizioni personali e sincere che non possono fare altro che commuovere sino alle lacrime: l’addio di Ben alla sua amata Jane nel corso di una protesta di studenti sedata dall’intervento violento della polizia, una delle "scene di bacio" più disperate della storia del cinema con i due amanti circondati dal caos, lo studente che sfida i carri armati con la sola opposizione del corpo in ricordo dell’ignoto eroe dei freschi tragici fatti di piazza Tiananmen. La cieca violenza che ha comportato l’invasione americana del Vietnam si traduce con momenti di estrema crudezza che riportano a eventi accaduti nella realtà come l’esecuzione a brucia-pelo di un giovane ribelle con testimoni i tre amici e la prigionia in un campo di concentramento vietcong, in cui ad un certo punto i protagonisti si ritrovano faccia a faccia con la morte e torture fisiche e psicologiche insostenibili, quest’ultima una parentesi tra le migliori dedicate al filone "guerra in Vietnam" paragonabile a quelle viste ne "Il cacciatore" e "Apocalypse Now".
Il marchio di fabbrica di John Woo restano sempre e comunque le sequenze action che emergono in progressione con il precipitare degli eventi, in particolare quando i tre ragazzi giungono al Bolero, un locale notturno di Saigon, in cui si incontrano con un boss ammanicato con i militari per stringere affari (loschi) e fanno la conoscenza del silente Luke, sono in gran parte scontri a fuoco furibondi ripresi con un gusto dell’inquadratura e sapiente dosaggio del ralenti unici e inimitabili, con esplosioni di schegge, detriti e schizzi di sangue precise nel dettaglio che rimandano verso un realismo che in passato era capitato di vedere (forse) solo nei film di Sam Peckinpah, una perfezione formale ricercata da Jonh Woo e la sua crew sin dai tempi del primo "A Better Tomorrow". Il montaggio cronometrico di David Wu e dello stesso John Woo completa il quadro.
Il finale aumenta la posta in gioco con uno scontro fratricida a bordo di due autoveicoli che si affrontano in un duello distruttivo, un clangore scatenato di metallo e improvvise esplosioni di raffiche di pallottole e fuoco degne di un film della saga "Terminator", una conclusione amara che è una resa dei conti tra i protagonisti segnata dal tradimento e il furore. Da notare che del finale esistono due versioni differenti mentre per quanto riguarda la pellicola e i numerosi tagli a cui è stata sottoposta nelle diverse nazioni si contano svariati minutaggi a seconda delle edizioni. Per la suddetta recensione è stata visionata la vhs full uncut inglese della "Made in Hong Kong" per la durata di 126 minuti.
In una piccola parte come ispettore di polizia compare John Woo, sono invece assenti le "solite" colombe simbolo di purezza e redenzione, il film non è un grosso successo e in occidente viene visto solo diversi anni dopo la sua uscita senza avere la stessa benevola accoglienza riservata ad altre opere del regista, "The Killer" e "Hardboiled", che restano quelle più conosciute. "Bullet in the head" è un’opera monumentale che pur nella sua fatalità trasmette una voglia di vivere insopprimibile, e per essere un film non è cosa di tutti i giorni.
Titolo Originale: "Bullet in the head" (ingl.)
Paese: Hong Kong
Rating: 10/10